Stories 11/2024 – Misurare il tempo

Pillole di Bit
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Stories 11/2024 - Misurare il tempo
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Dalla meridiana agli orologi atomici che sincronizzano via GPS di tempo ne è passato moltissimo, l’umo ha sempre trovato modi molto ingegnosi per misurare il tempo ed è sempre riuscito a raggiungere livelli di tecnologia elevatissimi. Una carrellata delle tecnologie, della meccanica e dei bit.

Questa puntata extra è uscita per ringraziarvi della generosità che avete dimostrato nel mese di settembre 2024, con le vostre donazioni. Ne volete un’altra? Contribuite a riempire il grafico a torta che trovate nella barra laterale del sito, se a fine novembre arriva al 100%, il primo di gennaio arriva la nuova puntata di PdB Stories.

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Pillole di Bit Stories è un podcast speciale, che esce il primo giorno del mese, come ringraziamento, quando le donazioni superano una certa soglia. Oggi è il primo di Novembre 2024 ed esce perché a Settembre siete stati davvero molto generosi e ho pensato che fosse dovuto un ringraziamento speciale. E come ringraziarvi, se non con una puntata extra, diversa dal solito, al di fuori della consueta scaletta?
Grazie, davvero, e buon ascolto di questa puntata dedicata ad una storia dell’informatica o della tecnologia

Misurare il tempo è una cosa che l’uomo cerca di fare e a da tempo immemore, abbiamo sempre visto che il Sole sorge e tramonta in modo regolare, che la Luna passa da piena a nuova in periodi sempre uguali, che il clima cambia, durante più giornate e più cicli lunari, in cicli altrettanto lineari, fa caldo, poi fa meno caldo, gli alberi perdono le foglie, fa freddo, poi torna ad essere tiepido, gli alberi rimettono le foglie e torna il caldo.
Misurare tutte queste cose, in generale il tempo, è stata una cosa che l’uomo ha cercato di fare da sempre.
Uno dei primi modi, che pare sia stato usato ancora prima degli Egizi, che abbiamo ancora oggi in molti posti, è la meridiana.
Un palo nel terreno o su un muro, la cui ombra si sposta seguendo il movimento del sole.
Non serve aver studiato astronomia, non astrologia, quella è non-scienza per prendere in giro la gente, per comprendere alcuni limiti della meridiana.
Segna l’ora giusta praticamente solo a mezzogiorno, con il variare delle stagioni il movimento apparente del sole in cielo cambia e le ore indicate dall’ombra sono sempre diverse.
In più di notte non funziona, mancando il sole.
La luna non c’è sempre e quando c’è la sua posizione nel cielo non è sempre la stessa e non può essere indicativa dell’orario.
Un bel problema.
Nella storia sono rimaste tracce di antichi orologi con complicati meccanismi ad acqua, che potevano funzionare sempre, anche di notte, grazie al costante apporto di acqua che faceva funzionare i meccanismi.
Ce n’è uno anche a Roma a Villa Borghese, se siete interessati.
Nel medioevo nascono i primi orologi a molla e intorno al 1300 vengono installati sui primi campanili, la precisione non è eccelsa, ma permettevano alle persone di sapere l’ora sempre, guardando verso il campanile.
Uno degli orologi meccanici più antichi in Europa lo si può vedere nella cattedrale di Salisbury, nel sud dell’Inghilterra, è datato 1386, io l’ho visto e mi sono fermato ad osservarlo fino a quando mia moglia mi ha detto “ehi abbiamo un viaggio da fare”, è pazzesco nella sua semplicità, ma fa tutto, rintocchi compresi.
Uno degli orologi meccanici più famosi in europa è l’orologio astronomico di Praga, costruito nel 1410.
Credo sia uno degli orologi più belli che abbia mai visto.
L’uomo ha sempre avuto una capacità meccanica che, se la pensiamo nel secondo secolo, fa impressione.
Progettare e realizzare ruote dentate così precise da fare un orologio del genere nel 1400, se ci pensate bene, è una cosa straordinaria.
Il problema però è sempre uno: avere un battito di riferimento, noi ora diremo una frequenza di clock, preciso su cui fare affidamento, per non dover regolare l’orologio di continuo.
Intorno al 1600 ci viene in soccorso Galileo Galilei che studia il movimento del pendolo, grazie al suo isocronismo, la regolarità dell’oscillazione, abbiamo finalmente un modo su cui basare il procedere del tempo.
Se abbiamo un sistema che si muove in modo regolare, sempre nello stesso tempo, possiamo fare in modo di attaccarlo a un altro sistema che misuri lo scorrere del tempo.
Fisici, per cortesia perdonatemi.
Se ho un punto fisso, al quale collego un filo inestensibile e alla fine una massa puntiforme, in un ambiente privo di attrito, se faccio oscillare la massa puntiforme, questa oscillazione durerà sempre lo stesso tempo da quando io la avvio.
La durata dell’oscillazione varia in base alla lunghezza del filo e alla dimensione della massa.
Nel mondo reale si può creare un pendolo con un’asta al fondo della quale è fissato un peso, la distanza tra il fulcro dell’oscillazione e il peso si può regolare, in modo da poter tarare l’oscillazione, in modo che duri esattamente un secondo.
Visto che nel mondo reale c’è l’aria e ci sono gli attriti, esistono dei sistemi, detti scappamenti, solitamente dei pesi su catena, che aiutano il pendolo a non perdere velocità nel tempo, questi vanno regolarmente riposizionati, come se fosse la carica del pendolo stesso.
Abbiamo il nostro clock a 1 Hz, una volta a secondo.
Oppure un multiplo, che possiamo poi dividere
Tramite una ruota dentata e due fermi che oscillano, il pendolo permette a un meccanismo di muoversi, con regolarità, una volta a secondo.
Con gli adeguati ingranaggi, questo meccanismo fa muovere le lancette delle ore e dei minuti.
Il primo orologio a pendolo fu brevettato nel 1656.
Dal 1657 in Olanda, ora Paesi Bassi, venne iniziata la produzione.
Abbiamo finalmente un sistema abbastanza preciso per misurare il tempo, ma ha un piccolo problema, che, effettivamente, piccolo non è: le dimensioni.
Non si può mettere un orologio a pendolo in ogni posto dove sarebbe comodo avere un orologio in città e non si può mettere un orologio a pendolo in tasca.
Nel 1880 a Parigi hanno fatto una cosa, che quando l’ho scoperta, ho semplicemente esternato “wow!”
La legge di Segal dice “Un uomo con un orologio sa che ore sono. Un uomo con due orologi non ne è mai sicuro.”
Immaginate di avere una città, tanti orologi in giro e tutti che segnano un’ora diversa. Un incubo.
In quel periodo avevano una rete di posta pneumatica nel sottosuolo molto estesa, ma centinaia di km.
La posta pneumatica l’avrete vista nei supermercati, quando la cassiera infila un po’ di contanti in un bussolotto e poi questo in un tubo che con un risucchio va via.
Il tubo, sottoposto a variazioni di pressione, fa muovere questi bussolotti a velocità molto elevate tra due posti.
Lo usavano anche nell’ASL solve lavoravo intorno al 2000 a Pinerolo, in provincia di Torino, tra gli uffici e l’ospedale, che distavano circa 500m.
Cosa hanno fatto questi geni dei francesi?
Hanno preso un orologio master, a pendolo e lo hanno messo in un punto dove avevano l’arrivo dei tubi della posta pneumatica e il compressore per l’aria.
Hanno collegato il meccanismo dell’orologio, dopo vi parlo dell’orologio che ho visto a Salisbury, a una valvola tra il compressore e i tubi dell’aria compressa.
Poi hanno messo gli orologi in città, tutti collegati ai tubi dell’aria compressa.
L’orologio master, tramite un meccanismo puramente meccanico, apriva per un attimo la valvola del compressore per un attimo, sufficiente a inviare un impulso di aria compressa lungo i tubi che, arrivati agli orologi collegati, azionavano un martelletto che faceva andare avanti l’orologio di un minuto.
Non sincronizzati in tempo reale, perché all’aria serve il tempo di muoversi, ma sicuramente non tutti sfasati come potrebbero essere due orologi da taschino a molla che non sono stati sincronizzati per qualche giorno.
La sincronia degli orologi evolverà nel tempo, ma ci arriveremo.
Ho parlato degli orologi da taschino, ma anche quelli da polso.
Gli orologi al quarzo, di cui ho parlato nella puntata 296, non c’erano ancora, era tutto meccanico.
In qualche modo si doveva replicare, molto più in piccolo, il funzionamento del pendolo, per avere qualcosa che battesse il tempo in tasca.
La meccanica degli orologi è una cosa pazzesca, se andate a studiarla, è quasi ipnotizzante.
Come si può fare per avere un pendolo così piccolo?
Serve qualcosa che oscilli, essendo così piccolo non sarà sicuramente un’oscillazione al secondo, ma deve generare un movimento simile al pendolo.
Prendete un oggetto circolare, piccolo, mettete dei microscopici pesetti alle sue estremità e fissate il centro a un perno che è fissato ad una piccolissima molla di quelle circolari che si arrotolano.
Abbiamo un pendolo, negli orologi piccoli è chiamato bilanciere.
Lo facciamo oscillare, la molla si tende e poi rilascia, facendolo muovere continuamente, ad una velocità data dalla posizione e dimensione dei pesetti di cui parlavo prima, che sono regolabili.
La molla è uno scappamento, come per il pendolo vero, impedisce al pendolo di fermarsi, ma si scarica, va quindi caricata a mano con una piccola ghiera che esce dal quadrante dell’orologio.
Il bilanciere, con un meccanismo del tutto simile agli orologi a pendolo da casa, ma molto più piccolo e con rapporti diversi, visto che oscilla in modo diverso, farà muovere le lancette.
Essendo meccanico la sua precisione non sarà altissima e ogni tanto andrà risincronizzato a mano.
Esistono gli orologi automatici, che hanno un piccolo peso all’interno dell’orologio che si muove con il movimento del polso e va a caricare continuamente la molla, evitando che questa si scarichi.
Anche questi sono da sincronizzare a mano ogni tanto facendo riferimento ad un orologio più preciso.
Poi è arrivata l’elettronica e i quarzi.
Il quarzo, grazie alle sue caratteristiche piezoelettriche, se ha una tensione applicata, genera una frequenza molto stabile, questa, se adeguatamente divisa, porta da avere una frequenza di 1Hz molto precisa, che applicata a un piccolo motorino, fa girare le lancette di un orologio.
Abbiamo rimosso una buona parte della meccanica, la carica, sostituita da una batteria e il pendolo, sostituito da un quarzo.
La precisione aumenta, ma non è precisissima e soprattutto l’orologio non si adatta al cambio ora solare e legale.
AI tempi moderni e attuali manca un orologio davvero preciso e un sistema per diffondere questa precisione in tutto il mondo.
Non vi parlerò dei fusi orari perché, che ci crediate o no, è roba di una complicazione assurda, ma davvero pazzesca.
Cosa abbiamo, che si possa usare, che oscilla in modo più preciso di un quarzo?
Qui andiamo oltre la mia conoscenza, per questo non sono in grado di raccontarvela facile, ma grazie agli studi degli atomi, siamo riusciti, dal 1949 in avanti, ad avere degli orologi atomici, che sono basati su particolari atomi, come ad esempio i cesio, e che sono così precisi da avere un’accuratezza di un nanosecondo al giorno. Un nanosecondo è un miliardesimo di secondo, per arrivare a perdere un secondo devono passare 2.740.000 anni circa. Direi abbastanza precisi.
Con questi orologi ci sono gli enti che definiscono il tempo standard, al quale tutto il mondo si adegua, a partire dal conosciuto UTC, il Tempo Coordinato Universale, l’acronimo sembra con le lettere invertite perché deve andare bene per l’inglese e il francese.
Ok, ne devo parlare, per sommi capi, nel mondo, a seconda dei meridiani, abbiamo orari diversi, perché il sole illumina la terra, in quanto quasi sferica, no, non è piatta, in tempi diversi, lungo l’arco della giornata.
Il punto di riferimento è il meridiano di Greenwich, in Regno unito, dove c’è il tempo zero.
Tutto quello che è a est, è indicato con un + davanti, perché il sole arriva prima, tutto quello che è a ovest con un -, perché il sole arriva dopo.
L’italia, ad esempio è a +1 con l’ora solare, +2 con l’ora legale
Ma non è finita, io vi avevo avvertiti, ci sono dei fusi orari che hanno dei nomi, indipendentemente dal cambio dell’ora.
Quando vi dicono alle 12:30 CEST, vuol dire Central European Summer Time, l’ora di Roma in estate, ora solare. Se invece vi dicono 12:30 CET, vuol dire Central European Time, l’ora di Roma, ma anche Amsterdam, Berlino e le altre capitali sullo stesso fuso, in inverno, con l’ora legale.
Negli Stati Uniti hanno EST, PST, CST. MST, PST
Vi serviranno? Solo quando lavorate con gente sparsa per il globo o andrete a sviluppare software e dovrete gestire i fusi orari, con tanti auguri.
Torniamo a noi.
Abbiamo finalmente degli orologi precisissimi, che segnano il tempo in un modo più preciso di quello che fa il sole girando intorno alla terra, per questo ogni tanto dobbiamo aggiungere il leap second, come facciamo a diffondere questa precisione in tutto il mondo?
Prima della diffusione di Internet sono state create delle antenne che trasmettevano il segnale dell’ora esatta a grandissime distanze, questo segnale veniva recepito dagli orologi radio controllati, tipicamente una volta al giorno, che si sincronizzavano ed erano sempre sull’ora esatta. Quando comprai il primo, aspettai con ansia il cambio dell’ora per vedere se davvero cambiava l’ora automaticamente, invece di dover passare tutti gli orologi di casa a mano. Ed effettivamente funzionava.
Il trasmettitore più famoso in Europa, il DCF77 è in Germania, vicino Francoforte sul Meno trasmette il segnale orario su una frequenza di 75 kHz e ha una potenza di 50 kW, il segnale, riflesso dalla ionosfera, arriva fino a oltre 1000 km di distanza. Altro che Radio Maria. Ha iniziato a trasmettere data e ora nel 1973.
Tutti sappiamo che le onde radio hanno un loro tempo di propagazione, nella trasmissione c’è la posizione dell’antenna, in modo che l’orologio possa calcolare il tempo di scarto per la propagazione e impostare l’ora giusta. Se volete sapere nel dettaglio come viene trasmessa l’ora, vi lascio nelle note un documento con il dettaglio del protocollo.
In Italia, oltre all’ora esatta del Televideo, su cui potrei fare una puntata, abbiamo avuto per molto tempo il segnale orario della rai, trasmesso via radio dal 1942 e dalla TV, dal 1977. Quello in radio era codificato in modo da essere usato da riceventi per una sincronia automatica, quello in TV credo che i più anziani se lo ricordino

Quando siamo passati alla tv digitale il segnale orario in TV ha perso il suo senso, in quanto il ritardo della trasmissione non prevedibile lo ha reso di fatto inutile.
Adesso siamo nell’era digitale, quella dove c’è Internet per ogni dove, ci sarà qualcosa su Internet, no?
Nel mondo abbiamo molti orologi atomici, questi sono collegati a dei server che diffondono, tramite nomi e IP pubblici un protocollo, NTP, Network Time Protocol, sulla porta UDP 123.
È nato nel 1985 ed è usato attualmente in tutto il mondo per tenere in sincrono gli orologi di tutti i computer del mondo.
Se a noi dà fastidio avere due orologi vicini sfasati, tipo in cucina l’orologio del forno e quello del microonde, avere due server con l’orario sballato può avere effetti catastrofici in moltissimi ambiti, quelli finanziari, i certificati di sicurezza, le chiavi di autenticazione a due fattori con i codici che cambiano del tempo e moltissimi altri settori. Provate a navigare su Internet con un computer con l’ora sfasata anche di poco, non funziona niente.
Il protocollo NTP, con il suo sistema a strati e ridondanza fa sì che quando viene interrogato, possa fornire il timestamp esatto dei secondi e nanosecondi in un pacchetto di 64 bit, partendo dal primo gennaio 1900. Il 7 febbraio 2036 si resetterà.
Ricevuto il timestamp, la macchina sa su che fuso orario è configurata e imposta l’ora esatta.
il protocollo NTP, in una rete locale permette una precisione nell’ordine dei millisecondi, ma su larga scala, complica la velocità in best effort delle reti, mantenere una sincronia precisa, diventa difficile.
È però necessario che, in determinati settori, server e computer abbiano lo stesso orario, ma molto preciso anche se ai meridiani opposti del mondo, come fare?
Lo sapete che i satelliti dei sistemi di posizionamento come GPS o Galileo hanno degli orologi atomici a bordo?
Se si ha un’antenna è possibile ricevere l’ora esatta, ma molto esatta, a questo punto si collega l’antenna a un server NTP locale ed ecco che tutti i server della rete locale avranno l’ora molto più precisa rispetto a quella che avrebbero se fossero collegati a un normale NTP su Internet.
Piccola curiosità finale: gli orologi dei satelliti di posizionamento devono tenere conto della relatività, semplificando moltissimo, prenderò bastonate dai fisici, teoria per la quale lo scorrere del tempo cambia a seconda della velocità alla quale si viaggia.
Questi orologi installati sui satelliti che sono a 20.000km dalla terra e viaggiano a 3,8 km/s devono essere regolati in modo che il loro secondo sia diverso dal secondo a terra, se non fossero regolati in questo modo la precisione del GPS passerebbe da 30cm a 22km.
Vi lascio un PDF con delle slide fatte molto bene.
Da ora in poi, quando guarderete l’ora, la guarderete in modo diverso.

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Se a fine mese la quantità di donazioni raggiunge una certa soglia, mi impegno a fare una puntata extra, per il primo del mese successivo, dedicata ad una storia dell’informatica, per ringraziarvi della generosità.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit Stories, uscita, perché siete stati molto generosi nel mese di settembre vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
Io sono Francesco, produttore e voce di questo podcast e vi do appuntamento alle puntate della programmazione normale, ogni lunedì mattina presto, vi registrate con un’app per podcast e la puntata vi arriva automagicamente.

Grazie per avermi ascoltato!

Ciao!

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#338 – Traceroute

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#338 - Traceroute
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Per vedere che giro fa un pacchetto per arrivare a destinazione o per fare un po’ di analisi dei problemi se una destinazione non si raggiunge, il comando traceroute è di grande aiuto. Cosa succede quando viene lanciato, per far vedere tutti i router che vengono attraversati?

Per leggere lo script fai click su questo testo

In queste puntate abbiamo parlato spesso di reti. Troppo? Troppo poco? Dovreste dirmelo voi, in effetti. Ma è un argomento che a me piace, per questo motivo spesso sono qui a spolverare un angolino del networking, un dettaglio che magari viene usato da tutti e non si sa perché o come funziona, oppure è sconosciuto ai più.
Oggi, letteralmente navighiamo tra i router e parliamo di traceroute. O tracert per chi usa Windows.

La scorsa puntata ha avuto un problema tecnico nel file, riascoltandola era tutto ok, ma su Spotify aveva problemi di riproduzione e Youtube non me l’ha importata, adesso pare che sia tutto risolto, scusatemi.

Uno dei comandi più usati quando si lavora con le reti è il ping.
Il comando ping, per l’utente, è molto semplice, si definisce un indirizzo di destinazione e lui restituisce se quell’indirizzo è raggiungibile.
Potete usarlo su ogni computer nella shell o prompt dei comandi e il suo utilizzo di base è facilissimo: ping e poi un indirizzo IP da raggiungere. Se il vostro PC lo raggiunge avrete risposta, se non lo raggiunge avrete un errore di timeout.
Il comando ping usa il protocollo ICMP, che sta per Internet Control Message Protocol, un protocollo di servizio che è incapsulato direttamente in IP, sta un livello sotto a tutti i protocolli che conosciamo e che si appoggiano sopra IP, come il TCP, FTP, HTTP e molti altri.
Per questo motivo se tutti i protocolli appena detti, per funzionare, hanno bisogno di una porta, ICMP non usa delle porte.
Se sul firewall dovete bloccare il ping, dovete bloccare ICMP, non chiudere una porta.
Sì, fa strano ma è così.
Avete presente come funziona un radar? Stavo per dirvi in quale puntata ne ho parlato, ma non ne ho mai parlato, me lo sono segnato.
Il Radar, il sonar e anche i Lidar, di quest’ultimo ne ho parlato davvero, puntata 53, emettono tutti degli impulsi che vanno a schiantarsi contro qualcosa e tornano, in base al tempo di ritorno sappiamo se c’è qualcosa e a che distanza.
Il ping è simile, solo che noi andiamo a cercare qualcosa di preciso.
Mandiamo una specie di impulso, che è un pacchetto, come tutto quello che viaggia sulle reti di dati, con una destinazione.
La rete cercherà di consegnarlo a destinazione.
Una volta arrivato a destinazione, se arriva, la destinazione lo riceve, lo elabora e risponde, rimandandolo al mittente.
E come arriva il pacchetto a destinazione?
Grazie a una serie di router in giro per il mondo o per la rete locale, se complessa, che sono dotate di tabelle di routing piccole o grandi e sanno dove mandare il pacchetto.
Quando il ping non risponde, di solito, c’è qualcosa che non va, vuol dire che il pacchetto si è perso da qualche parte. O, banalmente, che la destinazione non risponde.
Si può fare analisi di dove si è perso il pacchetto con un comando interessante: traceroute.
Prima di parlare di traceroute è bene parlare di un parametro del pacchetto ICMP del ping, il time to live, lo vedete nella risposta del ping, insieme al tempo che ci ha messo il pacchetto ad arrivare a destinazione a tornare indietro, in millisecondi.
Il TTL è un valore dato al pacchetto che, per ogni hop, equivalente ad ogni router che questo incontra, viene diminuito.
La diminuzione viene fatta dal router che deve inoltrare il pacchetto, prende il valore del TTL, lo decrementa di uno e lo inoltra, se dopo il decremento è zero allora non lo inoltra e risponde alla sorgente che il TTL è finito.
Ogni sistema operativo ha un suo valore predefinito, di solito Linux , Unix e MacOS hanno 64, Windows 128.
Se il TTL arriva a zero il ping fallisce.
A questo punto possiamo giocare con il TTL.
Immaginiamo di avere una rete aziendale con 4 hop per passare dal nostro PC al server da raggiungere, se facciamo un ping con ttl 64, il ping tornerà con TTL 60 per via dei 4 hop passati.
Ma noi vogliamo sapere quali sono questi quattro hop.
Possiamo sfruttare il TTL.
Mandiamo un primo pacchetto, per la destinazione che ci interessa con TTL pari a 1.
Il primo router lo riceve, lo decrementa, vede che è zero e risponde con il pacchetto di TTL exceeded.
Visto che ogni pacchetto ha nei suoi dati l’IP del mittente, sappiamo qual è l’indirizzo del primo router.
Adesso mandiamo un secondo pacchetto ICMP con TTL 2, passa il primo router, che lo decrementa a 1, lo inoltra al secondo router, lo decrementa anche lui, arriva a zero e risponde con TTL exceeded, abbiamo l’IP del secondo router.
Siamo pronti con il Pacchetto con TTL a 3 e così via fino a quando non raggiungiamo l’IP di destinazione.
abbiamo così la lista completa degli IP di tutti i router dove è passato il nostro pacchetto, dal PC alla destinazione.
Questa cosa vale anche se la fate su in IP pubblico.
Se avete windows il comando è tracert, se un sistema basato su unix, è traceroute.
Lo lanciate su un IP pubblico e lui vi dice tutti i router che vengono attraversati prima di raggiungerlo, con la risoluzione dei nomi, in modo che vedete anche di chi sono questi router, se del vostro provider o di altri.
Se usate il traceroute quando dovete verificare la raggiungibilità di un host all’interno di una VPN e a un certo punto il pacchetto va verso Internet, avete sicuramente un problema di rotte configurate male da qualche parte.
Prima di divertirvi con i comandi ping e traceroute, mi raccomando, andate a guardarvi tutte le varie opzioni, su linux e macOS si vedono con man e poi il nome del comando, su Windows solitamente con nome del comando spazio barra, quella della divisione, non quella dei percorsi, quelle tastiere italiane sta sopra al 7 e poi il punto interrogativo. Quella di Windows sono dovuto andare a cercarla, è troppo tempo che non ci lavoro in modo serio.

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Vi è mai successo di fare il copia di qualcosa, con Ctrl+C in Windows e Linux e Cmd+C in Mac, poi ne fate altri e a un certo punto vi viene in mente che vi sarebbe servito il primo, quello fatto almeno 5-6 copia fa?
la clipboard è uno spazio di memoria unico, ogni copia sovrascrive quello che c’era prima, senza via di scampo.
Su Windows lo hanno ampliato da Windows 10 in poi, premete il tasto col logo di Windows e V e vi si apre la magia. Se avete l’account collegato con il cloud di Microsoft la storia della clipboard si replica anche su tutti gli altri computer sui quali avete fatto accesso con lo stesso utente.
Con il Mac la clipboard si replica istantaneamente tra tutti i dispositivi sbloccati con il vostro utente Apple, ma è sempre solo one shot. Copiate una cosa sul telefono e ce l’avete sul Mac. È uno dei motivi per cui ho tutto Apple.
E per la storia?
Io uso una delle funzioni di Alfred, app irrinunciabile per MacOS, ma ha un certo costo.
Ho trovato un’app piccola, open source, per mac, che fa solo questo: la gestione della storia della clipbloard, lo fa bene con le giuste opzioni.
Si chiama Maccy, la trovate nell’app store o dal sito, con donazione a piacere, anche zero.
Provatela e poi non ne potrete più fare a meno.
Per i preoccupati: potete escludere dalla sua memoria le app delle password, così non le memorizza.

Vi avevo detto che mi sono scocciato di fare puntate dedicate a questa ignobile idiozia del Piracy Shield, ho deciso che, se dovesse servire, e spero di non doverlo fare tutte le settimane, metterò una piccola rubrica dedicata, così da tenervi aggiornati. Lo so che la speranza sarà vana.
In questi giorni abbiamo scoperto alcune cose raccapriccianti.
La prima è che nessuno controlla cosa deve essere bloccato. I detentori dei diritti danno un nome a dominio o un IP e questo viene bloccato da tutti i provider di Italia.
Sarebbe dovuto essere per IP o siti che fanno solo streaming pirata o prevalentemente streaming pirata e invece un sabato sera è stato bloccato uno dei servizi cloud più grandi del mondo, dove, presumibilmente, qualcuno aveva messo un link a un file con una playlist si IPTV. Non era un IP che faceva solo o prevalentemente streaming pirata.
Questo ha portato, per gran fortuna e dopo molte, troppe ore, la notizia anche su tutta la stampa generalista, perché bloccare a livello nazionale Google Drive, servizio usato da molte aziende anche a livello business, a pagamento e con dei livelli di servizio, ha smosso parecchio le acque.
È persino venuto fuori, da un post su Linkedin, che una commissaria interna ad AGCOM non è d’accordo su come funziona questo sistema.
Io non ve l’ho detto, ma se qualcuno riesce a mettere il giusto file pubblico sull’IP pubblico di un suo concorrente, ha abbattuto il concorrente, grazie a questo sistema.
Se un hacker fa la stessa cosa su un IP si un servizio essenziale, grazie al fuoco digitale amico, in mezz’ora il servizio essenziale è abbattuto.
Sapete come è andata nel Vajont, 60 anni fa?
Tutti i tecnici dicevano che fare la diga lì non era una buona idea, che prima o poi un pezzo di montagna si sarebbe staccato.
Li hanno ignorati.
La montagna si è staccata e l’onda d’acqua ha cancellato 3 paesi con tutti i loro abitanti.
Qui sono mesi che noi tecnici diciamo che questo sistema va chiuso, ha già fatto più danni di quelli che ci saremmo potuti aspettare, è persino riuscito ad abbattere uno dei suoi stessi IP, e loro continuano imperterriti.
Succederanno cose peggiori.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
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#337 – Game Boy

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#337 - Game Boy
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Una console innovativa, tascabile, con un enorme potenziale, che ha cambiato il mondo dei videogiochi. Non è la storia di questa console, ma un’occhiata al suo interno.

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Nella storia delle console e dei videogiochi Nintendo ha sempre avuto un peso considerevole. Le sue console, in un modo o nell’altro, hanno segnato un passo importante e ce le ricordiamo tutti, credo che anche i più giovani sappiano di cosa parlo se nomino il NES, che sta per Nintendo Entertainment System, uscito negli anni 80, all’inizio in Giappone, verso la fine in Italia.
Ma c’è stata una console che ha lanciato un nuovo modo di giocare, mai tentato prima, se non con giochi che alla fine erano poco più che piccole animazioni e che, devo essere sincero, ho avuto e ho amato, con gli schermi LCD, che facevano vedere sempre le stesse scene, tipo i GIG tiger. Io ne avevo due di sottomarca.
Sto parlando del celeberrimo Game Boy, che è uscito nel 1989 e ha letteralmente cambiato il mondo dei videogiochi. Non voglio raccontarvi la storia, ma lo apriamo e vediamo come era fatto dentro.

Mi è venuta l’idea di fare questa puntata molti mesi fa, soffermandomi in ufficio di fronte a un quadretto di Grid Studio, con all’interno l’esploso di un Game Boy, con schemi e descrizioni. Non un disegno, un vero Game Boy smontato e incollato a pezzi nel quadretto.
Allora sono andato a cercare come funzionava all’interno, perché alla fine, il tempo passa, ma io resto curioso come una scimmia.
Vi lascio il link al sito di Grid Studio, fanno cose adorabili.
Una console assomiglia in tutto e per tutto a un computer.
La scheda madre, pertanto, nella sua semplicità di una scheda madre degli anni 80, è composta dagli imprescindibili componenti di un generico computer:
Una CPU
Un chip con della memoria RAM
il connettore per la cartuccia
l’interruttore per l’accensione e il volume
il connettore per il display
il connettore per collegarlo a dispositivi esterni
il sistema di comunicazione a infrarosso
l’amplificatore audio
La CPU è stata creata apposta per Nintendo, non è un prodotto standard di mercato, è un SoC, esattamente come potrebbe essere il Raspberry oggi, un System on a Chip, all’interno c’è il processore, il gestore del video, il chip dell’audio, tutto insieme. Erano già molto avanti.
La CPU era una via di mezzo tra uno Z80 e un 8080, con un set di istruzioni limitato all’utilizzo necessario alla console, c’erano solo alcune istruzioni dello Z80, alcune dell’8080 e alcune specifiche per il GameBoy.
Io usavo lo Z80 alle scuole superiori, programmandolo in assembler, per far accendere 6 LED di un semaforo, Nintendo ci ha fatto girare Tetris.
Cosa sono le istruzioni?
In ogni processore c’è una specie di programmazione interna che, in base a dei valori memorizzati in celle di memoria chiamate registri dicono alla CPU cosa deve fare, proprio a basso livello.
Invento.
Se l’istruzione, in esadecimale, è 0x0F, allora prendi i due valori memorizzati nei registri 1 e 2, li sommi e metti il risultato nel registro 1
Il processore del Game Boy è stato fatto fare da Nintendo su richieste specifiche apposta per questa console, con istruzioni specifiche e non era possibile trovarne uno uguale sul mercato.
Così non sarebbe stato possibile fare un clone della console.
La CPU andava a circa 4,19MHz
Quando è uscito il Game Boy Color, la frequenza del clock è stata aumentata a 8,38MHz
Il Sega Master System, che aveva solo uno Z80, aveva la frequenza di clock a 1MHz.
La CPU del Game Boy poteve indirizzare ben 64 KB di memoria.
Quando ne hai poca, la gestisci bene.
C’è da fare una distinzione rispetto ai computer moderni.
Adesso i processori hanno bus diversi per accedere a cose diverse.
Un bus per la memoria RAM, uno per il disco, uno per tutte le schede di espansione, a seconda della tecnologia usata, il più comune è il PCI express.
Ognuno di questi ha un suo sistema di indirizzamento, indipendente dagli altri.
Sul Game Boy il bus di indirizzi era solo uno, in quei 64KB c’erano tutti i tipi di memoria e lettura scrittura dati necessari a far funzionare la console.
8KB erano dedicati alla memoria di lavoro
8K erano dedicati alla memoria video
una parte della memoria indirizzabile era nella cartuccia del gioco che, per il primo Game Boy poteva contenere 32KB o, con un artificio, fino a 1MB e per il Game Boy color fino a 8MB, c’erano poi 127K in una specie di memoria ad accesso molto veloce e il resto degli indirizzi erano dedicati ai controller e alle periferiche di output, come detto prima, tutto nello stesso bus.
Vorrei che vi soffermaste un attimo alle cartucce di gioco.
32KB o 1MB per un gioco del GameBoy monocromatico
fino a 8MB per il GameBoy a colori.
Un gioco intero, grafica, suoni, testi, tutta la programmazione e le dinamiche di gioco.
Oggi, una foto RAW di una macchina fotografica qualunque pesa 25MB, un videogioco per una console attuale, viaggia da qualche centinaia di MB a un centinaio di GB.
E sono aggiornabili, le cartucce no, quelle come uscivano, così erano per sempre.
Il Game Boy color ha aumentato la memoria, ma non la dimensione del bus per indirizzarla, per gestirla ha un piccolo flag, di un bit, se a 0, il bus indirizza la prima parte, se a 1, indirizza la seconda.
Il chip SoC, aveva anche una parte per la gestione del calcolo grafico, chiamata PPU
Il display del Game Boy era 160×144 pixel, con 4 toni di grigio, o di verde, nella prima versione.
Per fare il render della schermata di gioco il Game Boy usava un sistema a strati.
in una parte della memoria video venivano memorizzati tutti gli sprite necessari al gioco, in blocchi 8×8 pixel, per poter venire poi prelevati, composti e messi in una certa coordinata.
Poi lo sfondo, era un’immagine statica di 256×256 pixel, più grande dello schermo, in questo modo si poteva selezionare quale parte far vedere e si poteva farlo muovere.
Sopra tutto questo veniva messo lo schermo, grande come il display, che conteneva i dati sempre fissi, come il punteggio o le vite, ad esempio.
Disegnato lo schermo, con lo sfondo che si poteva spostare, venivano piazzati e fatti muovere fino a 40 sprites per volta, gestendo anche l’overlay, se uno era sopra un altro, la parte sotto non veniva mostrata.
Il Game Boy color raddoppiava la memoria video, il numero degli sprites e aumentava, ovviamente, i colori visibili, da 4 a oltre 32.000
Sempre all’interno del SoC c’èra la gestione dell’audio, chiamata APU, che gestiva 4 canali audio, mixati poi nello speaker che era mono.
2 canali generavano solo impulsi, il tipico bip, che davano la melodia, un canale poteva generare un’onda sinusoidale programmabile e l’ultimo canale generava del disturbo, tipo il rumore delle esplosioni.
Direi abbastanza ingegnoso.
Come ogni computer, anche il Game Boy aveva un suo sistema operativo.
All’avvio della console venivano inizializzate la ROM e il SoC.
Dalla cartuccia veniva poi prelevato il disegno del logo di Nintendo, che doveva combaciare con il logo all’interno della ROM della console, a mo’ di sistema anti falsificazione.
Il logo veniva fatto scendere dal bordo superiore dello schermo.
Veniva fatto un controllo sulla dimensione della cartuccia
Il gioco veniva avviato.
Semplice ed efficace.

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A volte si può voler cancellare qualche traccia del proprio passato, che, se scritto nei social, resta per sempre ed è ricercabile da chiunque. Anche dai sistemi che allenano le AI.
Da quando quell’essere spregevole si è comprato Twitter, cancellare i vecchi tweet è diventato un problema.
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Mettendo un anno per volta, in una mezz’ora cancella tutti i tweet di quell’anno.
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