#349 – Gestire le fotografie

Pillole di Bit
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#349 - Gestire le fotografie
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Da quando i telefoni hanno la fotocamera generiamo una quantità immane di fotografie. Il problema è che non le gestiamo mai nel modo corretto, poi finisce che il telefono si rompe e le perdiamo tutte oppure, peggio, le abbiamo, ma non ricordiamo più di averle. Le foto vanno gestite. E vanno gestite in modo strutturato.

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Nella nostra vita, che ci piaccia o no, generiamo moltissimi dati, in modo consapevole o inconsapevole. Questi dati possono essere nelle nostre disponibilità come documenti o dati multimediali, o sono dati che noi non vediamo neanche, come log di tutto quello che facciamo, come ad esempio la bollatura con il badge aziendale o il passaggio della carta per i pagamenti.
Tutti questi dati finiscono su uno storage e vanno gestiti a seconda della loro importanza.

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Tra tutti i dati che generiamo, da quando i nostri smartphone hanno un sensore fotografico, i più pesanti e meno gestiti, sono le fotografie.
Pensateci un attimo.
Facciamo foto e video di ogni cosa, non solo con il telefono, ci sono macchine fotografiche, action cam, telecamere di videosorveglianza, dashcam e credo altre decine di dispositivi che ho scordato.
Tutti registrano immagini o video e li scrivono da qualche parte.
Giga e giga di dati generati ogni giorno da milioni di persone.
Dati di eventi che non saranno più ripetuti nel tempo.
Dati che magari non saranno mai più consultati, dite la verità, quante delle foto che avete scattato andate poi a riguardarle dopo qualche mese o qualche anno?
Dati che invece potrebbero aver memorizzato un momento importante per i motivi più disparati, come la nascita di un figlio, la laurea, un incidente, un tramonto in un posto lontano da casa, l’espressione buffa di una persona cara in un momento irripetibile.
I problemi della gestione delle fotografie non sono pochi e, per evitare di avere problemi, vanno affrontati tutti.
Il primo, importante, è che si fanno foto e video con dispositivi diversi, in tempi diversi, in modi diversi e poi magari è utile averle in ordine tutte nello stesso posto.
Fate in modo che tutti i dispositivi abbiano sempre lo stesso orario in sincrono con tutti gli altri.
Sembra una fesseria, ma non lo è.
Andate in vacanza, fate le foto con il telefono, la mirrorless e con la action cam, scaricate tutto e poi li mettete in ordine di orario di scatto.
Se non sono regolate bene non vi ritrovate più.
E se per caso siete andati all’estero e non avete messo a posto il fuso orario, quelle fatte con il telefono avranno l’orario giusto, le altre no. Sarà un dramma, ve lo assicuro.
Ora che le avete tutte con la data a posto, dovete evitare di perderle durante un eventuale viaggio.
A me è successo.
Qualcuno ha una serie di mie foto splendide di Venezia al tramonto e di notte, deserta e con la nebbia. Insieme alla mia reflex.
Le ho fatte la sera e il mattino dopo mi hanno rubato la macchina mentre ero sul bus.
Ma io non ho fatto il backup delle foto la sera in hotel.
La macchina foto l’ho ricomprata, le foto le ho perse.
A sera, fate modo di averle da due parti, sempre.
Con il telefono è facile, con un servizio cloud, con altri dispositivi è una rogna, si deve viaggiare con un computer e un disco esterno. Fatelo.
Soprattutto perdete il tempo di fare quella copia, ne parlo meglio tra un attimo.
È giunto il momento di fare una mossa importante.
Il telefono non è l’unico deposito delle vostre foto.
No, basta, siamo nel 2024, ci sono i servizi cloud, ci sono i NAS, ci sono i computer a casa.
Le foto non devono stare solo sul telefono.
8 anni di foto, tutte e solo sul telefono.
Le foto occupano un sacco di spazio, se non le si cancella mai poi sarà necessario comprare un telefono da 8TB per farcele stare tutte, è una roba insulsa.
In più, se il telefono si rompe, ve lo rubano, lo perdete, avete perso tutte le foto e non si recuperano mai più.
Il sistema più facile per non avere problemi, mai, è quello di usare il servizio di backup cloud del produttore del telefono. Se avete iPhone, fate il backup automatico su iCloud, i piani partono da 1€ al mese.
Con Android potete usare Google Foto, con Google One, si parte da 2€ al mese.
Sì, costa. Quanto costa perdere tutte le foto? Come direbbe una nota pubblicità “non ha prezzo”.
Se avete iPhone potete anche fare il backup su Google Photo.
Se avete Amazon Prime, potete salvare infinite foto in Amazon Photos e video fino a 5GB gratis, poi i piani partono da 2€ al mese.
Se non vi piace mettere le foto su servizi cloud di fornitori terzi potete attivare Synology Foto sul vostro NAS, se compatibile e, via VPN o Tailscale, non usate il servizio di connessione via Internet, fate lì il backup delle vostre foto direttamente dal telefono. Se volete qualche informazione in più, ne ho parlato nella puntata 315, in collaborazione con Synology.
Anche QNAP ha un servizio simile, ma non ho un loro NAS, non l’ho mai provato.
Tutti questi sistemi che fanno il backup delle foto hanno una caratteristica comune: una volta salvata la foto sui loro sistemi, se la cancellate dal telefono, questa non viene rimossa dal servizio cloud, se non avete fatto configurazioni strane.
Potete, anzi, dovreste, anche pensare di attivare più di un servizio di replica in contemporanea, non si danno fastidio e così non avete tutte le vostre foto in un posto solo.
Sul mio iPhone io ho Google Foto e Synology Foto, fanno entrambe il backup e poi, regolarmente, cancello le foto dal telefono.
Poi, io sono paranoico e il mio NAS replica su un NAS a casa di un amico, quindi le foto sono in 3 posti diversi.
Adesso parliamo dei dispositivi che non sono connessi, qui le cose diventano più complesse.
Perché? Dovete fare tutto a mano.
Innanzitutto, se partite per un viaggio di più giorni, a mio parere, dovete viaggiare con l’aggeggio fotografico, che sia la macchina fotografica, la videocamera, il gimbal, l’action cam, due supporti per memorizzare le foto e i video, il PC portatile e un disco esterno.
La sera, ogni sera, vi mettete lì con calma, scaricate tutto quello che avete immortalato e lo salvate sul disco esterno.
Poi, durante il resto del viaggio tenete il disco in un posto diverso dal dispositivo di ripresa.
Così se succede qualcosa alla macchina o alla scheda, ma qualsiasi cosa, le foto le avete anche da un’altra parte.
Potreste caricare tutto su un servizio cloud ogni sera, ma non sempre si ha connettività e non sempre è veloce abbastanza da caricare video e foto RAW di una giornata di riprese.
Piangere perché dopo 10 giorni ai Caraibi, o in un posto qualsiasi, avete perso la macchina, ve l’hanno rubata o si è rotta la memory card, non fa tornare le foto che avevate scattato.
Quando tornate a casa, poi, dovete definire come archiviare le foto per tenerle organizzate e, vi assicuro, è una delle cose più complesse da fare sul lungo periodo.
Già le foto digitali sono dimenticate molto prima di quelle cartacee, raramente si riguardano, poi se non sono archiviate nel modo giusto non sapete neanche più dove le avete messe e allora ciao, le avete, ma è come se non le aveste più.
Io faccio in questo modo, ma non è detto che sia quello universalmente corretto o quello migliore per voi.
Ho una cartella dove le metto tutte
Creo una cartella per ogni anno
All’interno di questa cartella creo una cartella per ogni evento, nel formato anno trattino mese trattino giorno, dopo metto il nome dell’evento, se l’evento è una vacanza lunga non metto il giorno e metto i giorni in sottocartelle.
Dentro metto tutte le foto, divise per fonte, che sia telefono, macchina fotografica, action cam.
Questa cartella fa parte della libreria del software che uso per le elaborazioni delle immagini.
Se le foto della macchina fotografica sono in RAW le elaboro, spero in tempi ragionevoli, e poi tengo i JPG esportati e cancello i RAW.
Questa cartella è sincronizzata con il NAS, con Google Photo e rientra nel backup di timemachine.
Sì, ho molte copie delle mie foto.
E ancora sì, so esattamente dove sono.
Tutto questo funziona per le foto nuove, appena scattate.
Se al momento avete solo una libreria online, è giunto il momento di farne un export locale e averne una copia offline, per poi avviare una sincronizzazione in almeno due posti.
La mia struttura locale mi aiuta a localizzare le foto per evento.
Di solito i servizi cloud le categorizzano per data, per posizione GPS e per quello che c’è raffigurato, con i sistemi AI. Se manca la posizione GPS, la ricerca delle foto sui servizi cloud è molto limitata.
Poi c’è l’ultimo passo: la copia fisica.
Siamo persone e non siamo macchine, abbiamo le mani e alle nostre mani piace toccare qualcosa.
Ebbene, dopo ogni evento durante il quale avete scattato molte foto, fate l’immane esercizio di selezionarne 20 al massimo e stampatele, ci sono molti servizi che fanno stampe di fotolibri, album, scatoline con foto singole in formato polaroid, insomma, ci sono modalità per tutti i gusti.
Avete così scelto le foto più belle e significative, è già un bell’esercizio.
Avete un oggetto bello che vi ricorda quell’esperienza, che guarderete, probabilmente più spesso delle stesse foto che avete sul PC o sul telefono.
Se avete molte foto solo su un servizio cloud, è bene pensare a come farne una seconda copia in locale, perché una sola copia non è una buona idea.

Questo podcast vive perché io lo produco, lo registro e lo pubblico settimana dopo settimana o quasi. Ma continua ad andare avanti perché la soddisfazione di vedere le notifiche delle donazioni mi spinge a fare sempre nuove puntate, come ringraziamento e impegno nei vostri confronti. Se esce ogni settimana è grazie a voi.
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Potete farlo con Satispay, SumUp o Paypal, per i più arditi con il Value for Value.
Potete partecipare anche usando i link sponsorizzati di Amazon o acquistare la connettività o uno degli altri servizi di Ehiweb, che sponsorizzo con molto piacere da tempo, un gestore di connettività come loro non lo trovate in giro.
Uno dei loro servizi è la connettività, in FTTC o FTTH, a seconda della disponibilità della vostra zona, da 200Mbps fino a 10Gbps, la connettività comprende sempre un router di fascia alta compreso nell’abbonamento, si danno molto da fare per fornirvi la miglior connettività possibile per il vostro indirizzo, chiamateli anche se non siete sicuri di essere coperti, spesso riescono a fare le magie. E se non è possibile non vi fanno un contratto che sanno che non andrà bene. Vale sia per privati, che per professionisti o aziende.

Oggi un Tip per Mac. Questo sistema operativo ha il suo sistema integrato per comprimere file e cartelle, funzionalità basliari, funziona discretamente senza problemi.
Ma esiste un prodotto migliore, gratuito che comprime file in molti formati, anche crittografato con password e funziona davvero bene, si usa in modo molto facile, perché basta lasciare l’icona sulla dock e spostare il file o la cartella su di essa per avviare la compressione.
Si chiama Keka, è gratis, open source e funziona davvero bene.

Questa volta dovrei iniziare con un enorme “te l’avevo detto”. Parliamo di Piracy Shield, ovviamente.
Sono mesi che disturba la normale operatività di Internet, blocca IP in modo perenne senza alcun senso, blocca siti che non dovrebbero essere bloccati, blocca CDN intere, fa danni enormi.
E, in questi casi, nessuno ha mai pagato un soldi bucato di danni.
Ma almeno, serve a qualcosa?
Ha ridotto la pirateria? Se sentite in giro, tutti quelli che usano il pezzotto, continuano a usare il pezzotto.
Ha aumentato gli abbonati ai servizi di streaming legali?
Se leggete un po’ in giro no, non ci sono stati aumenti nel numero di abbonati, neanche con i grandi sconti che sono stati fatti.
Insomma, è un sistema fastidioso che non porta a nessun risultato concreto.
Esattamente come avevamo previsto tutti noi che conosciamo la rete e ci lavoriamo.
Quando lo spegneranno?

Questa puntata di Pillole di Bit è giunta al termine, vi ricordo che se ne può discutere nel gruppo telegram e che tutti i link e i riferimenti li trovate sull’app di ascolto podcast o sul sito, non serve prendere appunti.
Io sono Francesco e vi do appuntamento a lunedì prossimo per una nuova puntata del podcast che, se siete iscritti al feed o con una qualunque app di ascolto vi arriva automagicamente.
Se volete partecipare alla realizzazione della puntata speciale di Pillole di Bit Stories, andate su pilloledib.it/sostienimi e fate la vostra parte, se a fine mese il cerchio delle donazioni di riempie, realizzerò la puntata speciale.

Grazie per avermi ascoltato

Ciao!

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#348 – Due IP su una scheda di rete

Pillole di Bit
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#348 - Due IP su una scheda di rete
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È una configurazione che si può fare senza problemi, anche a mano, basta avere alcune accortezze e sapere cosa si sta facendo

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Per tornare a parlare di reti, mi viene chiesto spesso se a una scheda di rete è possibile assegnare più di un indirizzo IP, visto che di solito se ne vede soltanto uno e assegnarne di più pare una cosa complessa e senza uno scopo utile.
Ebbene si può e serve, a volte lo facciamo senza neanche rendercene conto.

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Ci togliamo subito un impiccio: mettere a mano un IPv6 è davvero problematico, non si fa quasi mai, come detto nella puntata 304, gli IPv6 vengono assegnati automaticamente e molto spesso, anzi, è quasi sistematico, ogni scheda ne ha più di uno. Un problema di meno.
Oggi parliamo di IPv4.
Se avete bisogno di un ripasso su come funziona, potete andare a riascoltare la puntata 36, non è ancora cambiato.
La funzionalità standard di un computer in rete è trasparente per l’utente, si collega il cavo di rete, si accende, avviene la magia del DHCP server e la scheda di rete ottiene il suo indirizzo IP per poter accedere alla rete.
Se si parla di reti WiFi, dopo essersi connesso alla rete Wireless con la password o il certificato corretto, il DHCP server funziona nello stesso modo e assegna un indirizzo IP.
Se non vi ricordate come funziona il DHCP, non c’è problema, c’è una puntata anche per lui, la 225.
L’IP ottenuto permette al computer di raggiungere tutti i dispositivi sulla rete e il gateway, necessario per raggiungere tutti i dispositivi che non sono sulla rete locale.
Questo vale qualunque sia la classe dell’IP assegnata e qualunque sia la dimensione della sottorete.
Sugli stessi cavi di rete è possibile, senza problemi, far circolare pacchetti di reti diverse, senza che questi si diano fastidio.
Ci sono due modi.
Facciamo un esempio con le strade.
Su una qualunque strada possono passare auto con la targa italiana, che possiamo far finta essere i pacchetti con gli indirizzi IP della nostra rete che assegna il DHCP server del router.
Ma possono passare senza alcun problema anche le auto con targa tedesca, la strada non le blocca in alcun modo, l’importante è che sappiano dove devono andare.
Questi sono pacchetti con IP diversi da quelli che vengono distribuiti dal DHCP server della nostra rete.
Importante, non ci devono MAI essere due DHCP server nella stessa rete.
Si potrebbe obiettare che se l’ho sezionata per bene posso, ma non è cosa che succede a casa, di solito.
Nella configurazione della nostra scheda di rete, su ogni sistema operativo, possiamo andare a impostare manualmente uno o più indirizzi aggiuntivi, senza che il computer abbia problemi e senza creare problemi alla rete dove sono collegati tutti gli altri dispositivi.
Fatelo a casa, non sul vostro PC in azienda, ovviamente.
Un doppio IP si imposterà anche in modo automatico, lo vediamo tra un attimo.
Se lo impostiamo a mano, meglio non mettere un secondo gateway, se no poi il computer non sa dove mandare i pacchetti che devono uscire dalla rete locale.
Il discorso si fa complesso, ma fidatevi.
A cosa potrebbe servire?
Un esempio potrebbe essere che comprate un NAS, non lo volete mettere a disposizione della rete, ma volete accedere solo voi, in modo esclusivo e volete che sia isolato completamente dalla rete.
Gli date un IP diverso dal classico 192.168.1.X che avete sulla vostra rete.
Al vostro computer date un secondo IP della stessa rete data al NAS ed ecco che nessuno in rete lo vedrà, a meno che non vada a fare analisi dei pacchetti e scoprirà pacchetti di quella rete.
Ovviamente il NAS non potrà accedere ad Internet.
La cosa migliore sarebbe dedicare una scheda di rete solo per lui, ma un PC con due schede di rete non è una cosa così facile da trovare.
Se volete fare gli splendidi, esistono adattatori da usb/thunderbolt a ethernet molto veloci, ed ecco la seconda scheda di rete, ma siamo off topic in questa puntata.
Oppure, un altro esempio, più raro da trovare in casa.
Avete un dispositivo nuovo che sapete che ha un certo indirizzo di rete che è diverso dall’indirizzamento di casa vostra, mettete un secondo indirizzo compatibile con quel dispositivo ed ecco che lo potete raggiungere senza perdere accesso ad Internet, magari con il quale qualcuno vi sta facendo assistenza remota.
Come fa il computer a sapere che i pacchetti vanno alla rete di casa, alla seconda rete o va chiesto al gateway di uscire?
Una delle regole base del networking è che prima di chiedere al gateway di uscire si cerca il destinatario sulla rete locale o sulle reti locali se ce n’è più di una.
Se sul computer avete la rete R1 e la rete R2, la vostra scheda di rete, se vede che un pacchetto è della sottorete di R1, cercherà la destinazione in locale uscendo con il primo indirizzo, se vede che il pacchetto è della sottorete di R2, uscirà in locale usando il secondo indirizzo, se invece la destinazione è per una rete diversa, andrà dritto al gateway che gestirà poi lui dove mandarlo.
Un altro caso in cui troverete più di un IP sulla stessa scheda di rete, ma in modo automatico, è quando accendete una VPN, avrete l’IP della vostra rete locale e l’IP della VPN, che dovranno essere diversi.
In questo caso verranno anche scritte delle rotte per dire ai pacchetti se devono andare sulla vostra rete locale o all’interno della VPN, perché in questo caso avrete due gateway diversi, ma come vi dicevo prima, la gestione del traffico dei pacchetti, delle rotte e delle varie sottoreti si fa più complessa e, senza una tabellina da far vedere e tutti i numeri, in podcast è impossibile da spiegare, provo a semplificare.
Se un pacchetto ha destinazione R1, che è la rete locale, verrà mandato usando l’indirizzo principale del computer, sulla rete di casa vostra.
Se invece il pacchetto ha destinazione diversa da R1, le possibilità sono due, potrebbe essere parte di R2, la rete aziendale o Internet.
VIsto che solitamente R2 non è la stessa sottorete dell’indirizzo assegnato dalla VPN, il computer ha delle regole, chiamate rotte che gli dicono “se il pacchetto è della rete R2, allora usi il gateway che è assegnato all’indirizzo della VPN, se è diverso, allora usi il gateway dell’indirizzo di rete principale”
La lista delle rotte è chiamata tabella di routing, può essere più o meno complessa, a seconda di quanto è complessa la rete al di là della VPN.

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Oltre alla connettività per casa FTTH o FTTC, hanno le SIM, posano fibra dedicata per le aziende, fanno servizio VoIP, hanno un supporto spaziale e tutti i loro dipendenti sono assunti a tempo indeterminato.
Provateli, non tornerete più indietro.
E se avete bisogno di un servizio di Hosting, andate da ThridEye, che ospita da anni il sito del podcast, ho fatto la mia scelta e anche qui il livello è altissimo, i contatti sono sul sito.

Ormai è un dato di fatto, sono vecchio. L’ho capito quando mi sono accorto che tutte le nuove tecnologie inizio a usarle quando ormai sono già vecchie.
Io le scopro e dico “wooo” e gli altri intorno a me dicono “dai, siamo già alla versione 3, svegliati un po’!”
Con l’AI, peggio che mai. Ho scoperto che sapeva scrivermi la dimostrazione dei teoremi di matematica quando si poteva quasi usare per fare i video.
E nel mio lavoro installo, attivo e riparo macchine per il machine learning. Sì, è strano.
Oggi, per chi non lo conosce ancora, vorrei farvi provare NotebookLM, un servizio gratuito di Google che, caricati dei contenuti di qualsiasi tipo, da documenti a file audio o video, questi vengono indicizzati in un tempo ridicolmente breve e poi potete porre al sistema una o più domande e, in base a solo quei contenuti, il sistema vi risponderà di conseguenza, anche in Italiano.
Volendo vi fa anche un contenuto audio, tipo podcast a due voci.
Ho provato a caricare 50 puntate di Pillole di Bit e gli ho fatto domande del tipo “quante volte si è trattato di questo argomento?”, “in che puntata posso trovare una discussione su quell’altro?” e molte altre. Le risposte sono sempre state precise.
Peccato non poter caricare tutte le 350 puntate, così da poter chiedere informazioni su tutto quello che ho detto in questi 10 anni e non dover andare a cercarle a mano.
Provatelo, è magico, un po’ come tutto quello che è AI, ma che poi non è davvero intelligenza.

Questa puntata di Pillole di Bit è giunta al termine, vi ricordo che se ne può discutere nel gruppo telegram e che tutti i link e i riferimenti li trovate sull’app di ascolto podcast o sul sito, non serve prendere appunti.
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#347 – Aaron Swartz

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#347 - Aaron Swartz
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Ogni anno l’11 Gennaio è il giorno in cui tutti dobbiamo ringraziare il gran lavoro fatto da Aaron Swartz e del quale sicuramente tutti stiamo usufruendo, anche se non lo sappiamo, anche se non lo conosciamo. È giunto il momento di conoscerlo un po’.

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Attenzione, trigger warning, in questa puntata si parla di suicidio.

Per fortuna non devo più dedicare puntate del podcast a Cecilia Sala, che è tornata a casa e spero si riprenda quanto prima. Intanto, se non lo avevate ancora fatto, iscrivetevi al suo podcast Stories, è davvero un’eccellenza nel panorama dei podcast giornalistici in Italia, non per la brutta avventura che ha passato, ma da quando lo ha iniziato, esattamente tre anni fa, il 10 gennaio 2022.
Oggi parliamo di un’altra ricorrenza e di un’altra persona.
L’11 gennaio 2013 si è tolto la vita a 27 anni Aaron Swartz, un ragazzo al quale tutti dobbiamo moltissimo, anche voi, anche se non lo conoscete.
L’11 gennaio è una di quelle date da ricordare sempre.

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Aaron nasce nel 1986 a Chicago.
Inizia a lavorare nel campo del software da giovanissimo, a 13 anni vince il premio ArsDigita con il quale vince una visita al MIT di Boston, ma non il giro che ho fatto io nel giardino, da turista, ha avuto l’occasione di incontrare persone di un certo livello e esperienza nell’ambito delle reti.
A 14 anni lavora insieme al team che sviluppa le specifiche di RSS 1.0.
Se avete scaricato la puntata di questo podcast dal feed RSS è anche merito suo.
Contribuisce nella stesura delle licenze Creative Commons.
Le licenze Creative Commons, a differenza delle licenze commerciali, che pongono un sacco di limiti a chi usa software ceduto con esse, permettono una maggiore libertà di utilizzo e diffusione, garantendo ai creatori originali dell’opera il riconoscimento della proprietà e mettendo alcuni limiti sul tipo di diffusione.
Ad oggi sono usate moltissimo e le trovate in un sacco di opere, sono identificate da una doppia c in un cerchio, con alcuni loghi che ne identificano le caratteristiche, vi lascio il link in descrizione.
Fa parte del team che sviluppa e fonda Reddit all’inizio, proprio quel Reddit che adesso conoscete tutti.
Quando Reddit viene acquisito finisce a lavorare per Wired, dal quale viene poi mandato via.
Partecipa alla creazione di Open Library, il progetto di biblioteca digitale globale che mira a contenere tutti i libri mai scritti dall’uomo del mondo, completamente online, fa parte del grande progetto Internet Archive e vi lascio nelle note il link all’about.
Questo sito è finito in un blocco sui DNS nazionali per pirateria, se non si apre, dovete cambiare DNS.
Se non avete mai visto il sito dell’Internet Archive, questo è il momento di farci un giro, è importante.
C’è stata una grande causa sempre intorno a questo sito in epoca pandemica, in quanto, quando eravamo tutti a casa, è stato rimosso il limite di un utente per volta che poteva prendere un libro in prestito, questa cosa ha scatenato le ire degli editori che hanno promesso guerra.
Nel 2012 promuove una campagna per fermare il SOPA, Stop Online Piracy Act, una proposta di legge del 2011, mai entrata in vigore, grazie ad Aaron e al movimento che si mobilitò contro, che prevedeva che i titolari del copyright avrebbero potuto agire direttamente contro siti o enti che secondo loro stavano violando il loro diritto.
–PAUSA–
Ehi, ma questa cosa l’ho già sentita e ne ho già parlato!
Non vi dice niente il Piracy Shield?
Solo che noi non abbiamo fatto niente per fermarlo.
Fa un’analisi della scrittura degli articoli della Wiki, confutando le tesi per le quali si pensava che tutti gli articoli fossero stati scritti da poche persone.
Progetta e implementa Tor2web, un proxy http per accedere ai siti all’interno della rete Tor, senza dover usare un browser Tor. Il sistema è ancora manutenuto e utilizzato.
Scrive, in Italia, il “Guerrilla Open Access Manifesto”, un documento a difesa dell’accesso libero alla conoscenza digitale, vi lascio il link al documento originale e tradotto.
A seguito di questo documento, accede al registro pubblico dei documenti della corte federale degli Stati Uniti e scarica il 20% dei documenti contenuti al suo interno, il cui accesso sarebbe dovuto essere libero per i cittadini, ma è invece a pagamento perché digitale.
Con la stessa motivazione scarica qualche milione di articoli più vecchi del 1923, per questo di dominio pubblico, ma pubblicati e resi riservati all’interno del sistema JSTOR del MIT, una biblioteca digitale ad accesso riservato.
Per questo motivo viene incriminato.
A seguito di questo download JSTOR avrebbe reso pubblici ad accesso gratuito tutti i documenti di effettivo dominio pubblico.
JSTOR ritira le accuse contro Aaron
Ma la giustizia Americana non si ferma e minaccia capi di accusa con pene fino a 35 anni di carcare.
Processo mai avvenuto, perché Arron ha deciso per un’altra strada, senza lasciare messaggi.
Se non lo conoscevate, adesso sapete a chi dire grazie per molte delle cose che usate o che avete usato.
E dobbiamo dirgli grazie per tutta l’informazione libera alla quale abbiamo accesso, che se no, in quanto digitale sarebbe stata dietro paywall, molta più di quella che c’è adesso.

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Oltre alla connettività per casa FTTH o FTTC, hanno le SIM, posano fibra dedicata per le aziende, fanno servizio VoIP, hanno un supporto spaziale e tutti i loro dipendenti sono assunti a tempo indeterminato.
Provateli, non tornerete più indietro.
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Nella nostra vita abbiamo tutti a che fare con dispositivi che funzionano a batterie, le più comuni, da anni sono le cosiddette stilo, identificate dalla sigla AA.
Il problema è che se usiamo quelle usa e getta, una volta scariche, dobbiamo gettarle via, mi raccomando sempre negli appositi contenitori e non nell’indifferenziata, che inquinano moltissimo, e sono comunque un problema per l’ambiente.
Per sopperire sono nate negli anni le pile stilo ricaricabili, adesso si trovano a cifre ragionevoli un po’ ovunque.
Persino Ikea, da qualche tempo, ha smesso di vendere le usa e getta e ha solo quelle ricaricabili, molto più ecosostenibili e sicuramente più comode.
Il problema delle batterie ricaricabili nel formato AA è che sono da 1.2V e non da 1,5V
Per molti dispositivi questo non è un problema, perché spesso hanno dei regolatori interni e tutto continua a funzionare, come ad esempio i pad delle console, quelli che vanno a batterie e non hanno l’accumulatore ricaricabile di serie, come quelli di Xbox.
Per altri invece questa differenza di tensione è un problema non da poco e impedisce di usare queste pile.
Se non lo sapete ve lo dico, esistono le pile nel formato AA, ricaricabili, da 1,5V, sono agli ioni di litio e, a differenza delle solite da 1.2V, funzionano con tutto e funzionano decisamente bene.
Vi lascio un link per provarne un modello, non sono proprio economiche, al momento.

Dai, oggi torniamo a parlare di Piracy Shield e idiozie della vita reale.
Vi ricordate senza dubbio che più di una volta sono stati bloccati degli IP di CloudFlare, una delle CDN più note e usate per veicolare servizi web.
C’è qualcuno che usa un loro IP per veicolare traffico pirata, il sistema lo blocca e con il traffico pirata blocca altri migliaia di siti legittimi che non ne possono niente.
Da questo punto di vista CloudFlare se ne è sempre lavata le mani, dicendo che non sa che dati passano sulla loro infrastruttura, non lo vuole sapere e non ci mette le mani. Lo ha anche fatto per siti molto discutibili, nei tempi passati.
La Lega li ha portati in tribunale e i giudici hanno intimato loro, da ora in poi, di fornire i dati necessari atti a identificare le persone che fanno streaming pirata attraverso la loro piattaforma, i fruitori e di interrompere il servizio, pena una multa a 4 zeri al giorno.
Questo si somma a una sentenza della Cassazione che ha stabilito che fruire del cosiddetto pezzotto è solo un illecito amministrativo punibile con una sanzione da 154€.
Riassumendo.
Per legge un provider che non sa che cosa passa dalla loro infrastruttura deve fornire i dati dei suoi clienti, e di chi si connette, ma poi, una volta identificate le persone, queste non possono essere, in gran parte, punite.
La lotta alla pirateria fatta così non va da nessuna parte.
E se CloudFlare abbandonasse il mercato Italiano, lasciandoci all’era delle carrozze e dei cavalli, ecco, li capirei.

Questa puntata di Pillole di Bit è giunta al termine, vi ricordo che se ne può discutere nel gruppo telegram e che tutti i link e i riferimenti li trovate sull’app di ascolto podcast o sul sito, non serve prendere appunti.
Io sono Francesco e vi do appuntamento a lunedì prossimo per una nuova puntata del podcast che, se siete iscritti al feed o con una qualunque app di ascolto vi arriva automagicamente.
Se volete partecipare alla realizzazione della puntata speciale di Pillole di Bit Stories, andate su pilloledib.it/sostienimi e fate la vostra parte, se a fine mese il cerchio delle donazioni di riempie, realizzerò la puntata speciale.

Grazie per avermi ascoltato

Ciao!

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