#338 – Traceroute

Pillole di Bit
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#338 - Traceroute
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Per vedere che giro fa un pacchetto per arrivare a destinazione o per fare un po’ di analisi dei problemi se una destinazione non si raggiunge, il comando traceroute è di grande aiuto. Cosa succede quando viene lanciato, per far vedere tutti i router che vengono attraversati?

Per leggere lo script fai click su questo testo

In queste puntate abbiamo parlato spesso di reti. Troppo? Troppo poco? Dovreste dirmelo voi, in effetti. Ma è un argomento che a me piace, per questo motivo spesso sono qui a spolverare un angolino del networking, un dettaglio che magari viene usato da tutti e non si sa perché o come funziona, oppure è sconosciuto ai più.
Oggi, letteralmente navighiamo tra i router e parliamo di traceroute. O tracert per chi usa Windows.

La scorsa puntata ha avuto un problema tecnico nel file, riascoltandola era tutto ok, ma su Spotify aveva problemi di riproduzione e Youtube non me l’ha importata, adesso pare che sia tutto risolto, scusatemi.

Uno dei comandi più usati quando si lavora con le reti è il ping.
Il comando ping, per l’utente, è molto semplice, si definisce un indirizzo di destinazione e lui restituisce se quell’indirizzo è raggiungibile.
Potete usarlo su ogni computer nella shell o prompt dei comandi e il suo utilizzo di base è facilissimo: ping e poi un indirizzo IP da raggiungere. Se il vostro PC lo raggiunge avrete risposta, se non lo raggiunge avrete un errore di timeout.
Il comando ping usa il protocollo ICMP, che sta per Internet Control Message Protocol, un protocollo di servizio che è incapsulato direttamente in IP, sta un livello sotto a tutti i protocolli che conosciamo e che si appoggiano sopra IP, come il TCP, FTP, HTTP e molti altri.
Per questo motivo se tutti i protocolli appena detti, per funzionare, hanno bisogno di una porta, ICMP non usa delle porte.
Se sul firewall dovete bloccare il ping, dovete bloccare ICMP, non chiudere una porta.
Sì, fa strano ma è così.
Avete presente come funziona un radar? Stavo per dirvi in quale puntata ne ho parlato, ma non ne ho mai parlato, me lo sono segnato.
Il Radar, il sonar e anche i Lidar, di quest’ultimo ne ho parlato davvero, puntata 53, emettono tutti degli impulsi che vanno a schiantarsi contro qualcosa e tornano, in base al tempo di ritorno sappiamo se c’è qualcosa e a che distanza.
Il ping è simile, solo che noi andiamo a cercare qualcosa di preciso.
Mandiamo una specie di impulso, che è un pacchetto, come tutto quello che viaggia sulle reti di dati, con una destinazione.
La rete cercherà di consegnarlo a destinazione.
Una volta arrivato a destinazione, se arriva, la destinazione lo riceve, lo elabora e risponde, rimandandolo al mittente.
E come arriva il pacchetto a destinazione?
Grazie a una serie di router in giro per il mondo o per la rete locale, se complessa, che sono dotate di tabelle di routing piccole o grandi e sanno dove mandare il pacchetto.
Quando il ping non risponde, di solito, c’è qualcosa che non va, vuol dire che il pacchetto si è perso da qualche parte. O, banalmente, che la destinazione non risponde.
Si può fare analisi di dove si è perso il pacchetto con un comando interessante: traceroute.
Prima di parlare di traceroute è bene parlare di un parametro del pacchetto ICMP del ping, il time to live, lo vedete nella risposta del ping, insieme al tempo che ci ha messo il pacchetto ad arrivare a destinazione a tornare indietro, in millisecondi.
Il TTL è un valore dato al pacchetto che, per ogni hop, equivalente ad ogni router che questo incontra, viene diminuito.
La diminuzione viene fatta dal router che deve inoltrare il pacchetto, prende il valore del TTL, lo decrementa di uno e lo inoltra, se dopo il decremento è zero allora non lo inoltra e risponde alla sorgente che il TTL è finito.
Ogni sistema operativo ha un suo valore predefinito, di solito Linux , Unix e MacOS hanno 64, Windows 128.
Se il TTL arriva a zero il ping fallisce.
A questo punto possiamo giocare con il TTL.
Immaginiamo di avere una rete aziendale con 4 hop per passare dal nostro PC al server da raggiungere, se facciamo un ping con ttl 64, il ping tornerà con TTL 60 per via dei 4 hop passati.
Ma noi vogliamo sapere quali sono questi quattro hop.
Possiamo sfruttare il TTL.
Mandiamo un primo pacchetto, per la destinazione che ci interessa con TTL pari a 1.
Il primo router lo riceve, lo decrementa, vede che è zero e risponde con il pacchetto di TTL exceeded.
Visto che ogni pacchetto ha nei suoi dati l’IP del mittente, sappiamo qual è l’indirizzo del primo router.
Adesso mandiamo un secondo pacchetto ICMP con TTL 2, passa il primo router, che lo decrementa a 1, lo inoltra al secondo router, lo decrementa anche lui, arriva a zero e risponde con TTL exceeded, abbiamo l’IP del secondo router.
Siamo pronti con il Pacchetto con TTL a 3 e così via fino a quando non raggiungiamo l’IP di destinazione.
abbiamo così la lista completa degli IP di tutti i router dove è passato il nostro pacchetto, dal PC alla destinazione.
Questa cosa vale anche se la fate su in IP pubblico.
Se avete windows il comando è tracert, se un sistema basato su unix, è traceroute.
Lo lanciate su un IP pubblico e lui vi dice tutti i router che vengono attraversati prima di raggiungerlo, con la risoluzione dei nomi, in modo che vedete anche di chi sono questi router, se del vostro provider o di altri.
Se usate il traceroute quando dovete verificare la raggiungibilità di un host all’interno di una VPN e a un certo punto il pacchetto va verso Internet, avete sicuramente un problema di rotte configurate male da qualche parte.
Prima di divertirvi con i comandi ping e traceroute, mi raccomando, andate a guardarvi tutte le varie opzioni, su linux e macOS si vedono con man e poi il nome del comando, su Windows solitamente con nome del comando spazio barra, quella della divisione, non quella dei percorsi, quelle tastiere italiane sta sopra al 7 e poi il punto interrogativo. Quella di Windows sono dovuto andare a cercarla, è troppo tempo che non ci lavoro in modo serio.

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Vi è mai successo di fare il copia di qualcosa, con Ctrl+C in Windows e Linux e Cmd+C in Mac, poi ne fate altri e a un certo punto vi viene in mente che vi sarebbe servito il primo, quello fatto almeno 5-6 copia fa?
la clipboard è uno spazio di memoria unico, ogni copia sovrascrive quello che c’era prima, senza via di scampo.
Su Windows lo hanno ampliato da Windows 10 in poi, premete il tasto col logo di Windows e V e vi si apre la magia. Se avete l’account collegato con il cloud di Microsoft la storia della clipboard si replica anche su tutti gli altri computer sui quali avete fatto accesso con lo stesso utente.
Con il Mac la clipboard si replica istantaneamente tra tutti i dispositivi sbloccati con il vostro utente Apple, ma è sempre solo one shot. Copiate una cosa sul telefono e ce l’avete sul Mac. È uno dei motivi per cui ho tutto Apple.
E per la storia?
Io uso una delle funzioni di Alfred, app irrinunciabile per MacOS, ma ha un certo costo.
Ho trovato un’app piccola, open source, per mac, che fa solo questo: la gestione della storia della clipbloard, lo fa bene con le giuste opzioni.
Si chiama Maccy, la trovate nell’app store o dal sito, con donazione a piacere, anche zero.
Provatela e poi non ne potrete più fare a meno.
Per i preoccupati: potete escludere dalla sua memoria le app delle password, così non le memorizza.

Vi avevo detto che mi sono scocciato di fare puntate dedicate a questa ignobile idiozia del Piracy Shield, ho deciso che, se dovesse servire, e spero di non doverlo fare tutte le settimane, metterò una piccola rubrica dedicata, così da tenervi aggiornati. Lo so che la speranza sarà vana.
In questi giorni abbiamo scoperto alcune cose raccapriccianti.
La prima è che nessuno controlla cosa deve essere bloccato. I detentori dei diritti danno un nome a dominio o un IP e questo viene bloccato da tutti i provider di Italia.
Sarebbe dovuto essere per IP o siti che fanno solo streaming pirata o prevalentemente streaming pirata e invece un sabato sera è stato bloccato uno dei servizi cloud più grandi del mondo, dove, presumibilmente, qualcuno aveva messo un link a un file con una playlist si IPTV. Non era un IP che faceva solo o prevalentemente streaming pirata.
Questo ha portato, per gran fortuna e dopo molte, troppe ore, la notizia anche su tutta la stampa generalista, perché bloccare a livello nazionale Google Drive, servizio usato da molte aziende anche a livello business, a pagamento e con dei livelli di servizio, ha smosso parecchio le acque.
È persino venuto fuori, da un post su Linkedin, che una commissaria interna ad AGCOM non è d’accordo su come funziona questo sistema.
Io non ve l’ho detto, ma se qualcuno riesce a mettere il giusto file pubblico sull’IP pubblico di un suo concorrente, ha abbattuto il concorrente, grazie a questo sistema.
Se un hacker fa la stessa cosa su un IP si un servizio essenziale, grazie al fuoco digitale amico, in mezz’ora il servizio essenziale è abbattuto.
Sapete come è andata nel Vajont, 60 anni fa?
Tutti i tecnici dicevano che fare la diga lì non era una buona idea, che prima o poi un pezzo di montagna si sarebbe staccato.
Li hanno ignorati.
La montagna si è staccata e l’onda d’acqua ha cancellato 3 paesi con tutti i loro abitanti.
Qui sono mesi che noi tecnici diciamo che questo sistema va chiuso, ha già fatto più danni di quelli che ci saremmo potuti aspettare, è persino riuscito ad abbattere uno dei suoi stessi IP, e loro continuano imperterriti.
Succederanno cose peggiori.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
Io sono Francesco, produttore e voce di questo podcast e vi do appuntamento a lunedì prossimo, per la prossima puntata, disponibile su Feed RSS, o su tutte le piattaforme di podcast, vi registrate e la puntata vi arriva automagicamente.
E se a fine mese il grafico a torta delle donazioni nella barra laterale del sito si riempie, arriva anche la puntata extra di Pillole di Bit Stories.
Per cercare di raggiungere il 100% pilloledib.it/sostienimi o i pulsanti colorati nella barra laterale del sito.

Grazie per avermi ascoltato!

Ciao!

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#337 – Game Boy

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#337 - Game Boy
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Una console innovativa, tascabile, con un enorme potenziale, che ha cambiato il mondo dei videogiochi. Non è la storia di questa console, ma un’occhiata al suo interno.

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Nella storia delle console e dei videogiochi Nintendo ha sempre avuto un peso considerevole. Le sue console, in un modo o nell’altro, hanno segnato un passo importante e ce le ricordiamo tutti, credo che anche i più giovani sappiano di cosa parlo se nomino il NES, che sta per Nintendo Entertainment System, uscito negli anni 80, all’inizio in Giappone, verso la fine in Italia.
Ma c’è stata una console che ha lanciato un nuovo modo di giocare, mai tentato prima, se non con giochi che alla fine erano poco più che piccole animazioni e che, devo essere sincero, ho avuto e ho amato, con gli schermi LCD, che facevano vedere sempre le stesse scene, tipo i GIG tiger. Io ne avevo due di sottomarca.
Sto parlando del celeberrimo Game Boy, che è uscito nel 1989 e ha letteralmente cambiato il mondo dei videogiochi. Non voglio raccontarvi la storia, ma lo apriamo e vediamo come era fatto dentro.

Mi è venuta l’idea di fare questa puntata molti mesi fa, soffermandomi in ufficio di fronte a un quadretto di Grid Studio, con all’interno l’esploso di un Game Boy, con schemi e descrizioni. Non un disegno, un vero Game Boy smontato e incollato a pezzi nel quadretto.
Allora sono andato a cercare come funzionava all’interno, perché alla fine, il tempo passa, ma io resto curioso come una scimmia.
Vi lascio il link al sito di Grid Studio, fanno cose adorabili.
Una console assomiglia in tutto e per tutto a un computer.
La scheda madre, pertanto, nella sua semplicità di una scheda madre degli anni 80, è composta dagli imprescindibili componenti di un generico computer:
Una CPU
Un chip con della memoria RAM
il connettore per la cartuccia
l’interruttore per l’accensione e il volume
il connettore per il display
il connettore per collegarlo a dispositivi esterni
il sistema di comunicazione a infrarosso
l’amplificatore audio
La CPU è stata creata apposta per Nintendo, non è un prodotto standard di mercato, è un SoC, esattamente come potrebbe essere il Raspberry oggi, un System on a Chip, all’interno c’è il processore, il gestore del video, il chip dell’audio, tutto insieme. Erano già molto avanti.
La CPU era una via di mezzo tra uno Z80 e un 8080, con un set di istruzioni limitato all’utilizzo necessario alla console, c’erano solo alcune istruzioni dello Z80, alcune dell’8080 e alcune specifiche per il GameBoy.
Io usavo lo Z80 alle scuole superiori, programmandolo in assembler, per far accendere 6 LED di un semaforo, Nintendo ci ha fatto girare Tetris.
Cosa sono le istruzioni?
In ogni processore c’è una specie di programmazione interna che, in base a dei valori memorizzati in celle di memoria chiamate registri dicono alla CPU cosa deve fare, proprio a basso livello.
Invento.
Se l’istruzione, in esadecimale, è 0x0F, allora prendi i due valori memorizzati nei registri 1 e 2, li sommi e metti il risultato nel registro 1
Il processore del Game Boy è stato fatto fare da Nintendo su richieste specifiche apposta per questa console, con istruzioni specifiche e non era possibile trovarne uno uguale sul mercato.
Così non sarebbe stato possibile fare un clone della console.
La CPU andava a circa 4,19MHz
Quando è uscito il Game Boy Color, la frequenza del clock è stata aumentata a 8,38MHz
Il Sega Master System, che aveva solo uno Z80, aveva la frequenza di clock a 1MHz.
La CPU del Game Boy poteve indirizzare ben 64 KB di memoria.
Quando ne hai poca, la gestisci bene.
C’è da fare una distinzione rispetto ai computer moderni.
Adesso i processori hanno bus diversi per accedere a cose diverse.
Un bus per la memoria RAM, uno per il disco, uno per tutte le schede di espansione, a seconda della tecnologia usata, il più comune è il PCI express.
Ognuno di questi ha un suo sistema di indirizzamento, indipendente dagli altri.
Sul Game Boy il bus di indirizzi era solo uno, in quei 64KB c’erano tutti i tipi di memoria e lettura scrittura dati necessari a far funzionare la console.
8KB erano dedicati alla memoria di lavoro
8K erano dedicati alla memoria video
una parte della memoria indirizzabile era nella cartuccia del gioco che, per il primo Game Boy poteva contenere 32KB o, con un artificio, fino a 1MB e per il Game Boy color fino a 8MB, c’erano poi 127K in una specie di memoria ad accesso molto veloce e il resto degli indirizzi erano dedicati ai controller e alle periferiche di output, come detto prima, tutto nello stesso bus.
Vorrei che vi soffermaste un attimo alle cartucce di gioco.
32KB o 1MB per un gioco del GameBoy monocromatico
fino a 8MB per il GameBoy a colori.
Un gioco intero, grafica, suoni, testi, tutta la programmazione e le dinamiche di gioco.
Oggi, una foto RAW di una macchina fotografica qualunque pesa 25MB, un videogioco per una console attuale, viaggia da qualche centinaia di MB a un centinaio di GB.
E sono aggiornabili, le cartucce no, quelle come uscivano, così erano per sempre.
Il Game Boy color ha aumentato la memoria, ma non la dimensione del bus per indirizzarla, per gestirla ha un piccolo flag, di un bit, se a 0, il bus indirizza la prima parte, se a 1, indirizza la seconda.
Il chip SoC, aveva anche una parte per la gestione del calcolo grafico, chiamata PPU
Il display del Game Boy era 160×144 pixel, con 4 toni di grigio, o di verde, nella prima versione.
Per fare il render della schermata di gioco il Game Boy usava un sistema a strati.
in una parte della memoria video venivano memorizzati tutti gli sprite necessari al gioco, in blocchi 8×8 pixel, per poter venire poi prelevati, composti e messi in una certa coordinata.
Poi lo sfondo, era un’immagine statica di 256×256 pixel, più grande dello schermo, in questo modo si poteva selezionare quale parte far vedere e si poteva farlo muovere.
Sopra tutto questo veniva messo lo schermo, grande come il display, che conteneva i dati sempre fissi, come il punteggio o le vite, ad esempio.
Disegnato lo schermo, con lo sfondo che si poteva spostare, venivano piazzati e fatti muovere fino a 40 sprites per volta, gestendo anche l’overlay, se uno era sopra un altro, la parte sotto non veniva mostrata.
Il Game Boy color raddoppiava la memoria video, il numero degli sprites e aumentava, ovviamente, i colori visibili, da 4 a oltre 32.000
Sempre all’interno del SoC c’èra la gestione dell’audio, chiamata APU, che gestiva 4 canali audio, mixati poi nello speaker che era mono.
2 canali generavano solo impulsi, il tipico bip, che davano la melodia, un canale poteva generare un’onda sinusoidale programmabile e l’ultimo canale generava del disturbo, tipo il rumore delle esplosioni.
Direi abbastanza ingegnoso.
Come ogni computer, anche il Game Boy aveva un suo sistema operativo.
All’avvio della console venivano inizializzate la ROM e il SoC.
Dalla cartuccia veniva poi prelevato il disegno del logo di Nintendo, che doveva combaciare con il logo all’interno della ROM della console, a mo’ di sistema anti falsificazione.
Il logo veniva fatto scendere dal bordo superiore dello schermo.
Veniva fatto un controllo sulla dimensione della cartuccia
Il gioco veniva avviato.
Semplice ed efficace.

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Il podcast cresce anche con il passaparola, diffondete l’ascolto dei podcast con amici, colleghi e parenti, ce ne sono molti da ascoltare, di ogni genere e ognuno può farsi la propria stazione radio personalizzata, anche con Pillole di Bit al suo interno, i nuovi ascoltatori sono sempre una cosa bella.

A volte si può voler cancellare qualche traccia del proprio passato, che, se scritto nei social, resta per sempre ed è ricercabile da chiunque. Anche dai sistemi che allenano le AI.
Da quando quell’essere spregevole si è comprato Twitter, cancellare i vecchi tweet è diventato un problema.
Ma grazie a Gabriele, ho trovato questo script, che con un po’ di lavoro, permette di cancellare i vecchi tweet senza pagare e a velocità abbastanza rapide.
Non è un clicca e fai, ma ci va un po’ di impegno.
Si deve scaricare il proprio archivio da Twitter
Si devono prendere delle variabili dalla modalità per sviluppatori da Chrome
Si deve modificare lo script che si trova sulla pagina di Github che vi lascio nelle note e la si deve incollare nella console di Chrome per sviluppatori, quando chiesto, si importa il file Indice dei tweet che si trova nell’archivio scaricato da Twitter.
Mettendo un anno per volta, in una mezz’ora cancella tutti i tweet di quell’anno.
Utile se si vuole fare pulizia, io ho tolto tutti i tweet più vecchi del 2022

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
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#336 – Powerline

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#336 - Powerline
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I sistemi ad onde convogliate permettono di usare cavi dedicati a una funzione, per farci passare dentro dei dati, a frequenze più alte. Con questo sistema si può avere una trasmissione dati su cavo, senza passare cavi

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Sono poche le persone fortunate che hanno la possibilità di passare i cavi di rete in tutta la casa, dove effettivamente c’è bisogno che arrivi un cavo.
Tutti sanno, e se non lo sapevate, adesso vi rendo edotti, che una connessione di rete con il cavo è infinitamente meglio di una connessione WiFi.
È meglio per stabilità, immunità ai disturbi e velocità, non si discute.
Ma far arrivare un cavo di rete dove serve è maledettamente complicato a volte, soprattutto se la casa dove si vive è in affitto o se non si vogliono far passare canaline nuove.
Far passare cavi di rete nelle canaline dei cavi della corrente non si può fare, funziona, ma non si può.
E quindi, se voglio una connessione cablata in un punto dove la WiFi non arriva facilmente, come faccio?
Uso le onde convogliate.

Lo so, mi sa che vi aspettavate l’ennesima puntata rancorosa contro AGCOM e la roba sull’accesso ai siti per adulti con verifica della maggiore età con SPID o CIE. No, basta. Non ne posso più di essere arrabbiato, per adesso torniamo in tema e faccio le puntate che voglio io, non dettate dalle banderuole politico-tecniche del momento, continuo a raccontarvi come funziona la tecnologia. Poi, in futuro, vediamo.

In casa abbiamo tutti un impianto che arriva ovunque, in ogni stanza, in più punti per ogni stanza: è l’impianto elettrico.
Ne ho parlato diffusamente nella puntata 259.
L’impianto elettrico porta 3 cavi dal contatore a tutte le prese, a noi oggi interessano quelle, più che il resto, in tutta la casa.
Se, tolta la corrente, testiamo la continuità elettrica del filo della fase, sarà validata positivamente in tutte le prese di tutta la casa.
Questo a patto che l’impianto sia monofase, facciamo le cose facili.
La stessa cosa vale per il filo del neutro, la continuità sarà validata in tutte le prese di casa.
Questo vuol dire che se noi trasmettiamo un qualsiasi segnale elettrico sulla fase di una presa, lo ritroveremo su tutte le altre, idem sul neutro.
Ma nei cavi dell’impianto elettrico passa la 220V in alternata a 50Hz, non è che possiamo spillare il filo e trasmettere un segnale a caso, è pericoloso! E soprattutto c’è già qualcosa su quei cavi.
Esatto.
VI ricordate le prime ADSL?
Abbiamo trasmesso un segnale digitale sul doppino telefonico dove passavano già le telefonate analogiche.
E i due servizi coesistevano.
Se siete troppo giovani per ricordarvelo, sono molto felice per voi.
Usando un sistema molto simile possiamo sfruttare i cavi dell’impianto elettrico per trasmettere altri segnali oltre alla corrente.
Facciamo l’inverso del Power over ethernet, puntata 243, dove trasmettiamo corrente oltre a un segnale digitale.
Se creiamo un dispositivo che, collegato ad una presa, prende la corrente da questa e si alimenta, lo possiamo accendere, abbiamo già tolto un problema.
Poi, visto che la 220Vac lavora sui 50 o 60Hz, abbiamo ancora un sacco di frequenze su cui lavorare.
Possiamo modulare dei dati all’interno dei fili su frequenze più alte.
Questo dispositivo genera una portante nello spettro dei MHz, molto più alta delle decine di Hz della 220Vac
All’interno di questa portante trasmette dei dati in digitale, che si propagano su tutti i fili dell’impianto.
Se io metto un altro dispositivo in un’altra presa, con un filtro, isolerà la frequenza di trasmissione dati da quella della 220V e, dalla frequenza più alta, estrapolerà i dati trasmessi dal primo dispositivo.
Come vengono generati questi dati da trasmettere?
Banalmente, i dispositivi hanno almeno una presa ethernet alla quale collego i cavi.
Da una parte, ad esempio, collego il cavo di rete che arriva dal router, dall’altra parte collego il cavo che poi arriverà sulla console in tavernetta, dove il WiFi non arriva.
Oppure collego uno switch, al quale collego la console, la TV e un access point wifi così ho coperto anche la tavernetta.
I dispositivi che generano il collegamento powerline sono completamente trasparenti nella rete dati, non hanno indirizzi IP e non fanno routing del traffico, funzionano proprio come se fossero un’estensione del cavo di rete.
Posso anche aggiungerne più di due, a questo punto l’impianto elettrico si trasforma in un grande switch.
Ogni volta che aggiungo un dispositivo, non ho mai provato di marca e modelli mischiati, meglio mettere tutto dello stesso tipo, per agganciarlo alla rete esistente, bisogna fare pairing con uno di quelli già attivi, premendo un bottone, così, se siete in un posto condiviso, con lo stesso impianto elettrico, siete tranquilli che nessuno si può attaccare alla vostre rete powerline in modo fraudolento.
E tutti quelli collegati nel condominio? Il mio segnale potrebbe andare in giro.
No, la cosa interessante è che il contatore che avete in cantina o a casa ha un filtro passa basso e il segnale del powerline non passa, i vostri dati restano isolati in casa vostra e non si danno fastidio con eventuali altri dispositivi powerline degli appartamenti vicini.
Come sono le prestazioni?
Molto variabili
Se un cavo di rete cat5e fatto bene tira fino a 10Gb fino a 45m senza problemi o 1Gb fino a 90m, con il powerline cambia in base a che dispositivi comprate, di che qualità sono e come è fatto il vostro impianto. Cambia anche se mettete i dispositivi su un ciabatta o su una presa direttamente a muro e cambia quanto sono lontane tra di loro le due prese con i dispositivi connessi.
Io, ad esempio, ho una coppia di TP-link da 50€ per collegare il mio appartamento al 5° piano con la cantina al -1, dove ho fatto portare un cavo direttamente dal contatore. Ci arrivo, controllo un piccolo AP WiFi, la telecamera e una shelly, ma non potrei mai portare giù un NAS, non va a più di 10Mbps.
Ci sono alcuni sistemi che, oltre ad avere una porta ethernet per un cavo, hanno delle antenne e fanno anche da access point wifi, funzionano molto, molto meglio di un repeater wifi, a patto che l’impianto tenga bene le onde convogliate, ovviamente.
La trasmissione dati ad onde convogliate viene anche usata in altri sistemi, oltre all’estensione delle reti ethernet.
Ci sono dispositivi domotici che la usano, a bassa velocità, per il controllo, senza dover passare attraverso connessioni radio dedicate o ulteriori cavi, sono già alimentate dalla 220V, nei cavi ci passano i comandi
Il gestore della rete elettrica usa le onde convogliate per raggiungere tutti i contatori elettrici e fare le teleletture.
Sempre riferito al contatore, se avete quello di nuova generazione, che loro chiamano 2G, nome infelice, visto che ricorda la vecchissima modalità di trasmissione dei telefoni cellulari, potete comprare il dispositivo da collegare, guarda caso, ad una presa, per avere la lettura dei consumi in tempo reale, anche questo funziona ad onde convogliate.
Per finire, alcuni sistemi di comunicazione della circolazione ferroviaria passano attraverso la catenaria del treno, di cui vi ho parlato nella puntata 43, avvengono attraverso onde convogliate.
Siamo bravi a sfruttare tutto il possibile sui cavi che abbiamo, visto che passarli ha un certo costo in materiali e manodopera.

Pillole di Bit è un podcast gratuito da sempre e disponibile per tutti, ma realizzare un podcast ha dei costi in servizi, hardware e software.
Ma non solo, ha anche bisogno di un ritorno in soddisfazione per chi lo produce, settimana dopo settimana, da quasi 10 anni.
Per coprire costi e soddisfazione voi ascoltatori potete contribuire in modo pratico, mettendo mano al portafogli, con una donazione, che sia ogni tanto o un abbonamento mensile, dell’importo che volete, basato su quanto potete permettervi e quanto vale per voi la produzione e i contenuti delle puntate.
Ogni volta che vedo una notifica, sono contento, vuol dire che il mio lavoro ha generato un valore reale.
Potete farlo in modi diversi, tramite Satispay, Paypal o con il Value for Value, con le applicazioni che lo gestiscono, se volete più informazioni sul value 4 value potete fare riferimento alla puntata 297.
Se non avete un account Paypal e avete una carta di pagamento, ho aggiunto SumUp come sistema di pagamento, ha anche tariffe più basse di Paypal per me, ma non fa gli abbonamenti.
I più sinceri ringraziamenti vanno a chi ha voluto donare qualcosa in questa settimana, nel dettaglio
Gli abbonati
Ivan
Carlo
Le donazioni spot
Silvano
Angelo
E chi usa il value for value
Paolo
Federico
Jackal
Nicola
Oltre a donare direttamente, potete anche usare i link sponsorizzati, che a fronte di un vostro ordine, a me riconoscono una percentuale, come Amazon o uno dei migliori provider internet che potete trovare sul mercato: Ehiweb, per loro metto la mano sul fuoco, tutte le persone che si sono abbonate mi hanno dato feedback estremamente positivi.
Il podcast cresce anche con il passaparola, diffondete l’ascolto dei podcast con amici, colleghi e parenti, ce ne sono molti da ascoltare, di ogni genere e ognuno può farsi la propria stazione radio personalizzata, anche con Pillole di Bit al suo interno, i nuovi ascoltatori sono sempre una cosa bella.

Una tra le cose più cercate da sempre, me lo ricorda da quando usavo Windows 95, sono degli sfondi del desktop belli. La scelta non è facile e trovare cose che piacciano è un’attività lunga e tediosa.
Io solitamente vado sul sito della NASA e guardo tra le immagini del giorno, ce ne sono di bellissime e me le salvo nella cartella che poi faccio girare sul Mac.
Ma ormai abbiamo il PC a casa, quello del lavoro, il telefono o i telefoni, insomma, troppe immagini da cercare a adattare.
A volte me la cavo anche con alcune foto fatte in vacanza, vedo un bel panorama e penso “questo è perfetto per uno sfondo”.
Ma se volete qualcosa di più astratto le cose sono ancora più difficili.
Bene, c’è un sito, dedicato al mondo apple, Basic Apple Guy, ma nessuno vieta di prendere le immagini e metterle su un Windows, Linux o Android, che fa degli sfondi davvero interessanti, il tema è apple, oggetti ed eventi, ma sono sicuro che troverete immagini davvero belle, tutto assolutamente gratis.

Siamo arrivati alla fine di questa puntata di Pillole di bit, vi ricordo che tutti i link relativi alle cose dette sono nelle note, che trovate sulla vostre app o sul sito.
Io sono Francesco, produttore e voce di questo podcast e vi do appuntamento a lunedì prossimo, per la prossima puntata, disponibile su Feed RSS, o su tutte le piattaforme di podcast, vi registrate e la puntata vi arriva automagicamente.
E se a fine mese il grafico a torta delle donazioni nella barra laterale del sito si riempie, arriva anche la puntata extra di Pillole di Bit Stories.
Per cercare di raggiungere il 100% pilloledib.it/sostienimi o i pulsanti colorati nella barra laterale del sito

Grazie per avermi ascoltato!

Ciao!

Il sito è gentilmente hostato da ThirdEye (scrivete a domini AT thirdeye.it), un ottimo servizio che vi consiglio caldamente e il podcast è montato con gioia con PODucer, un software per Mac di Alex Raccuglia